Sogni e incubi dell’animazione giapponese

La scorsa settimana mi sono soffermata a riflettere sugli anime giapponesi, cercando di fare chiarezza sulle distinzioni tra la percezione occidentale e quella orientale.

Ciò che trovo davvero affascinante in queste storie è il loro alto grado di complessità. Con questo non voglio affermare che la produzione occidentale ne sia priva. Esistono personaggi e storie che ci appassionano e ci emozionano in ogni cultura, ma la nostra visione dell’animazione resta sempre un po’ legata al fattore “gioco e intrattenimento”, oltre a essere influenzata dalla millenaria dicotomia occidentale “bene/male”.

Questa è forse la caratteristica più interessante e facilmente riconoscibile in anime e manga: i cliché eroe/cattivo sono deliberatamente evitati. Gli eroi possono cambiare schieramento o idea, mentre i cattivi sono spesso talmente approfonditi dal punto di vista psicologico da riuscire a entrare nel cuore dello spettatore tanto quando il protagonista. Si indagano gli eventi passati e le successive ricadute sul presente, si cercano motivazioni profonde alle azioni.

Alla base di questa attenzione possiamo ritrovare una sorta di attaccamento ai valori tradizionali giapponesi. Anche se il richiamo non è esplicito, l’influenza del bushido (il codice di condotta dei samurai, che richiede attenzione per la giustizia, la sincerità, la compassione e la gentilezza, oltre che per gli attributi classici del guerriero, come la lealtà, l’onore e il coraggio) è latente nella descrizione di molti eroi degli anime, anche in quelli più giovani e inseriti in un contesto assolutamente moderno.

La tradizione religiosa scintoista ha pure la sua parte di influenza. Non solo nella creazione della mitologia fantastica di questo mondo (esattamente come accade in occidente con le divinità greche, il pantheon germanico e la tradizione nordica del Piccolo Popolo), ma anche nella rappresentazione della vita quotidiana: grande osservanza delle gerarchie (pensate all’uso continuo delle forme di rispetto nei confronti dei genitori, dei superiori ma anche dei compagni di scuola più grandi, i sempai), esercizio della compassione e pragmatismo zen di fronte ai drammi e alle difficoltà da superare.

Eppure, direte, molti anime hanno poco a che fare con la vita reale e le tradizioni. Robot giganti, scontri con armi incredibili, tecnologie futuristiche o richiami al fantastico sembrano avere poco a fare con la filosofia e la poesia. La verità è che gli anime sono uno dei modi in cui il Giappone ha scelto di interrogare se stesso e le sue profonde contraddizioni.

Se si riflette sui cambiamenti che questo Paese ha attraversato nell’ultimo secolo, il dissidio è sorprendente: si è creato un contrasto profondo tra uno stile di vita tradizionale e una brusca spinta verso la modernità e la tecnologia più all’avanguardia. In più, alle ferite umane e ambientali inflitte dalla Seconda Guerra Mondiale si uniscono i frequenti disastri ecologici (motivo per cui molte storie sono ambientate in un futuro post-apocalittico). Questa concatenazione di eventi ha spinto i creatori giapponesi a mettere in scena le angosce e i dubbi esistenziali delle ultime generazioni.

Qualche esempio? Senza alcuna pretesa di fare classifiche di gradimento, citerò solo un paio di anime tra i più famosi, anche se il panorama è ricco, variegato e, soprattutto negli ultimi anni, si è arricchito di prodotti notevoli.

Ghost in the Shell – Il titolo stesso genera suggestioni: ispirata all’opera del saggista britannico Koesler (The Ghost in the Machine), la storia riflette sul rapporto tra ghost e shell, anima interiore e corpo fisico. In un mondo in cui i robot sono perfettamente umani, gli uomini possono innestarsi meccanismi altamente tecnologici e l’anima può sostituire il proprio involucro esteriore, infatti, cosa definisce l’umanità?

Ergo Proxy – Anche in questo caso il titolo ci indirizza al dilemma cartesiano del Cogito ergo sum. Non a caso, Cogito è anche il nome del virus che, nella storia, contagia gli androidi conferendo loro consapevolezza di sé. In un richiamo continuo alle teorie platoniche sulla repubblica perfetta, Ergo Proxy si concentra sugli interrogativi interiori dei protagonisti, sulla discesa nel lato oscuro dell’anima, sul senso della nostra esistenza in questo mondo.

Neon Genesis Evangelion – Forse uno dei più famosi e complessi, ha come tematica di fondo il mistero dell’evoluzione, la relazione tra l’uomo e Dio, la comunicazione interpersonale. Pieno di riferimenti alle differenti religioni, alla psicanalisi di Freud, alla filosofia di Schopenhauer e Kierkegaard, Evangelion è stato forse tra i primi prodotti a fare breccia con violenza nell’immaginario occidentale, aprendo le porte a una diversa attenzione da parte del nostro pubblico.

Death Note – Famosa parabola sui limiti e la bontà della giustizia a ogni costo, la storia racconta di Light, un brillante studente che decide di eliminare i criminali sfuggiti alla legge per creare un mondo migliore. Storia molto controversa, bandita e censurata in alcuni Paesi (a causa della simpatia generata da Light, per cui lo spettatore è portato in alcuni casi a parteggiare), Death Note è una profonda riflessione tra il machiavellico “Il fine giustifica i mezzi” e l’idea di una giustizia legale e morale, che rispetti l’umanità del criminale pur punendolo per i suoi crimini.

Come ho detto, questi sono solo alcuni titoli. Chi li conosce avrà sicuramente molto da aggiungere alla mia estrema sintesi. Chi invece è neofita di questo genere, potrebbe lasciarsi incuriosire da queste storie e, spero, affascinare, così come è capitato a me.


Photo: screenshot da Ergo Proxy

Pubblicato da ilblogdimyriamdeluca

Sono Myriam De Luca, nasco a Palermo dove vivo e opero. Tre parole bastano per presentarmi e rappresentarmi: Donna, Amore, Scrittura. La ricerca della bellezza, attraverso l’arte in ogni sua forma, è parte fondamentale della mia vita. Seguitemi in questo blog per scoprire il mio mondo, miei libri, la mia anima.

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