Ormai da oltre dieci anni questa canzone è diventata un tormentone sui social. Non passa settembre senza che venga ricordato questo famigerato verso scritto da Billie Joe Armstrong nell’omonima canzone dei Green Day.
Da subito la frase ispirata da un lutto personale è diventata simbolo di altri eventi dolorosi che ci hanno colpito a livello nazionale e globale. Primo fra tutti, l’attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001 e, in seguito, l’uragano Katrina che ha devastato l’America nel 2005.
Con il tempo, ha assunto molti altri significati. Senza perdere la sua vena profonda legata al concetto di perdita e memoria, si è trasformata nel vessillo del rifiuto contro la guerra e la cattiveria umana, avvertite come inutili e ingiustificate. Da qui, ribaltare il concetto è stato facile e il brano è ormai simbolo di un pensiero libero e coalizzante di pace.
Ritornarci con la memoria in questo preciso momento storico sembra quasi un obbligo. Settembre continua a essere un mese strano, condannato a segnare passaggi e rivoluzioni. Forse perché apre le porte all’autunno, segnando la fine del tempo che di solito preferiamo e che avvertiamo come il più leggero, il più entusiasmante dell’anno. E l’autunno è l’araldo dell’inverno.
Eppure questa stagione possiede la sua intrinseca magia: è il periodo in cui la Natura trionfa regalandoci la sua abbondanza prima del riposo invernale, in cui ci ricorda che non dobbiamo pensare a ciò che ci mancherà, ma ringraziare per ciò che abbiamo ottenuto.
Guardando a questo obiettivo, riapro il blog dopo la pausa estiva proprio in questa giornata. Ho deciso anch’io di svegliarmi quando finisce settembre, senza mai dimenticare il profondo valore della parola risveglio.
Photo @ Kat von Wood
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